Qualità
della vita tra: sviluppo, economia, giustizia
Di Luigi Brembilla
Economia ambientale
e sviluppo sostenibile possono essere oggi le vie di uscita dalla crisi della
giustizia tra i popoli, della crisi ambientale ed energetica dell'attuale modello
di sviluppo economico.
1 . SVILUPPO SOSTENIBILE
In tutto il mondo la produzione industriale sembra "condannata"
ad una crescita inesorabile. La grande maggioranza dei paesi e dei popoli cerca
di raggiungere il benessere delle nazioni industrializzate. L'indiscusso dominio
di questo modello di sviluppo, potrebbe provocare gravi danni al sistema ecologico
ed ambientale se i livelli attuali di consumo si affermassero su scala mondiale.
Il bel sogno quindi è arrivato al capolinea? Le scarse risorse energetiche,
la limitata capacità dei sistemi ecologici di ricevere sostanze inquinanti
e rifiuti in genere, pongono seri problemi alla perpetuazione e ulteriore espansione
dell'attuale modello economico. Dalla fine degli anni ottanta, al più
tardi dal vertice sull'ambiente di Rio de Janeiro del 1992, si è sviluppato
progressivamente a livello internazionale un nuovo concetto di benessere legato
ad uno "sviluppo sostenibile" in cui viene definito uno sviluppo che
dovrebbe soddisfare le necessità di chi vive oggi sul pianeta e di chi
ancora dovrà viverci. Questo concetto fondamentale di sviluppo sostenibile
nasce dal riconoscimento che i problemi di politica ambientale non possono venire
affrontati separatamente dallo sviluppo economico e sociale, ma che è
invece necessario un approccio unitario. Ambiente e sviluppo, giustizia e benessere
sono le due facce di una stessa medaglia.
2. LA GIUSTIZIA COME CRITERIO DELLO SVILUPPO SOSTENIBILE
Secondo il modello politico ed economico liberista, l'ingiustizia può
essere superata facendo partecipare in misura massiccia i poveri allo sviluppo,
inteso come crescita economica. Questa speranza si sta sgretolando di fronte
ai limiti biofisici ed energetici. La ricerca della giustizia ha oggi a che
fare con la limitazione dello sviluppo dei paesi ricchi più che come
ulteriore crescita economica mondiale. In altre parole, il primo precetto della
giustizia per il Nord industrializzato non è più dare al Sud in
misura maggiore, ma piuttosto prendere in misura minore. Questo concetto parte
dall'idea che il Sud non ha giustizia soprattutto a causa dell' "ingiusto"
e "violento" sfruttamento e godimento delle risorse da parte dei paesi
industrializzati (80% delle risorse per il 20% della popolazione mondiale).
Un contributo di grande importanza per la distensione internazionale sarebbe
il riconoscimento del principio fondamentale per un uguale diritto al godimento
da parte di tutti gli esseri umani ad un ambiente vivibile ed una pari opportunità
alla partecipazione ai benefici dello sviluppo. Senza dubbio questo criterio
pone alle nazioni industrializzate un ripensamento del modello di sviluppo attualmente
perseguito.
3. UN CAMBIAMENTO DI VALORI E TENDENZE
L'idea che un giorno lo sviluppo economico sarebbe stato sufficiente a "saziare"
i bisogni dell'uomo è ormai crollata sotto il principio della "non
sazietà"' del pensiero economico liberista. Ora, in questo modello,
i bisogni sono sempre maggiori dei mezzi per la loro soddisfazione; di conseguenza
il pensiero economico è orientato verso il perfezionamento e l'aumento
dei mezzi. La scarsità dei mezzi rispetto "all'illimitatezza dei
bisogni" è l'idea forte dell'economia moderna. Per questo motivo
tutto il lavoro teorico di quest'ultima si concentra sull'impiego di mezzi sempre
maggiori (tecnica lavoro capitale), mentre la riflessione sui fini svanisce
sistematicamente nel nulla. La convinzione che il benessere e la felicità
non stia nel continuo aumento dei bisogni materiali e che quindi anche i mezzi,
ad un certo punto, potrebbero essere sufficienti, è la spina nel fianco
del pensiero della crescita economica continua.
Chi però si aspetta che la società dei consumi arrivi un giorno
a un limite di saturazione sottovaluta il potere simbolico del possesso di beni.
Nella "società delle esperienze emozionali" i prodotti non
sono semplici portatori di soddisfacimento di bisogni elementari e strumentali,
ma hanno piuttosto una funzione espressiva. Conta quello che le merci dicono
anche come simboli di appartenenza sociale e di senso culturale. I beni e gli
oggetti posseduti sono caricati di significato, rappresentano un sistema di
comunicazione, di stato, di appartenenza, di valori. Il gioco di rimandi fra
merci e immaginazione è un processo senza fine. Così nella società
dei consumi, si arriva a creare opportunità emotive e di autorappresentazione
con il possesso e l'utilizzo di merci ben oltre la loro utilità obiettiva.
Parallelamente al piacere del consumo corre la delusione nel caso il prodotto
posseduto non risponda al desiderio o immagine voluta.
Diversamente, la disponibilità di tempo e non di beni, possono dare una
risposta più appagante e duratura ai bisogni di giustizia, di sviluppo
e di futuro. Il tempo e non il denaro, è la merce rara di questo fine
secolo.
Il guadagno di tempo libero può compensare il minore possesso di beni;
il possesso di nuovi spazi per la vita di relazione, nuovi orizzonti di comunicazione
e solidarietà possono compensare una minor capacità di consumo
di beni materiali. Probabilmente molte persone, potendo scegliere, preferirebbero
meno ore di lavoro anche con minor reddito. Sostanzialmente la rigidità
dell'orario di lavoro attuale costringe il lavoratore nella spirale del guadagno
e del consumo; al contrario, un'abitudine ad adattare il lavoro ai bisogni e
non i bisogni al reddito, non può svilupparsi in un'ottica consumistica.
La ridistribuzione del lavoro diventa così una grande opportunità
del nostro tempo con grossi vantaggi per la ridistribuzione di ricchezza e di
consumo di natura. Alla ricerca di maggiore libertà per i propri interessi
e per interessi comuni, i consumi secondari e voluttuari perdono del loro valore
simbolico consumistico.
Al di là di un certo numero, gli oggetti e beni posseduti diventano ladri
di tempo. In una cultura come la nostra dove in una casa ci stanno migliaia
di oggetti, il tempo non può che essere molto scarso, la giornata troppo
corta. I beni, grandi o piccoli, devono essere scelti, acquistati, collocati,
utilizzati, conosciuti, riordinati, spolverati, ecc. così da rendere
molto limitata la risorsa "tempo". "Avere molto" può
essere anche in contraddizione con "vivere bene".
I
paesi industrializzati già oggi pagano un prezzo elevato per l'orientamento
unilaterale dell'economia e della politica alla crescita, alla globalizzazione
ed all'accelerazione. Questo prezzo va dal degrado dell'ambiente alle malattie
di ogni tipo, dalla perdita di orientamento alla disgregazione sociale,
dal vuoto di senso all'aumento della violenza: non sono soltanto le risorse
naturali che vengono erose, ma anche quelle sociali. Prendendo in esame
diversi paesi industrializzati, si è mostrato che lo sviluppo del
prodotto nazionale lordo si è separato dallo sviluppo del benessere,
in modo particolarmente forte a partire dalla metà degli anni settanta.
Per lungo tempo l'aumento del volume di beni e di servizi e la crescita
della qualità della vita hanno camminato parallelamente. Il continuo
aumento del possesso d beni materiali, invece, provoca più danni
che miglioramenti qualitativi. Un maggior benessere materiale va a scapito del benessere temporale, una maggior mobilità riduce il radicamento sociale, più lavoro per il guadagno va a danno del lavoro per se stessi, per la famiglia, per la socialità. Più orientamento alla carriera ed al denaro toglie spazio al godimento della vita ed alla fantasia. |
Gli impegni, assunti nel 1972 alla Conferenza di Stoccolma delle Nazioni Unite sulla Protezione dell'Ambiente e ribaditi a Rio, di un aumento graduale della percentuale per l'aiuto allo sviluppo fino allo 0,7% del prodotto nazionale lordo sono disattesi da quasi tutti i paesi industrializzati. Anzi, i fondi per l'aiuto allo sviluppo vengono decurtati con la motivazione del deficit di bilancio e trasformati in misura ancora maggiore in strumenti di sostegno all'esportazione dei propri prodotti. |
Quindi i cambiamenti e i rinnovamenti da farsi sono molti:
- dalla logica dell'aumentare al massimo i bisogni materiali (con pubblicità,
mode, prodotti usa e getta, ecc.), del produrre sempre più merci per
il massimo guadagno, sprecando materie prime e combustibili non rinnovabili,
inquinando aria, acqua e suolo;
- alla logica dei bisogni essenziali, "immateriali", di relazioni,
di giustizia, del minimo dispendio di energie e di materie prime; rientrando
il più possibile nelle leggi di compatibilità ambientale.
La proposta è, perciò, una graduale ma profonda trasformazione
dell'impianto produttivo e dei consumi e non la semplice espansione planetaria
dei settori tradizionali di produzione, spostati da un luogo all'altro del pianeta
in cerca di sempre minori costi di produzione (manodopera) così da causare,
al suo passaggio, grandi problematiche sociali, come la disoccupazione.
- Più regionalismo tra produzione e consumi, meno spostamenti di materiali
e prodotti;
- più ricettività con il recupero e risanamento urbano, invece
che occupazione di sempre nuovi territori con nuovi edifici;
- ottimizzazione dei processi produttivi con risparmi di energia e di risorse,
riducendo così costi, inquinamenti, rifiuti;
- risanamento del territorio con ingegneria e urbanistica, rispettosa dell'ambiente
e dei consumi;
- fito depurazione;
- riciclo e riuso di materiali e prodotti;
- uso di materie prime e di energie rinnovabili;
- sviluppo di nuove tecnologie.
Tutto questo si intreccia con la creatività, la ricerca, l'istruzione,
la formazione continua, l'efficienza nei servizi decentrati, la prevenzione
degli squilibri, delle alterazioni e delle malattie.
Queste ed altre sono le idee guida di una proposta economica di sviluppo in
armonia con i limiti del pianeta, i diritti dei popoli e delle generazioni future.
Senza
giustizia fra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo non sarà
possibile arginare la crisi ambientale ed imboccare la strada verso uno
sviluppo globale sostenibile. Questo può essere illustrato con
un semplice esempio. Oggi gli oceani e la biomassa terrestre possono assorbire
annualmente fra i 13 ed e 14 miliardi di tonnellate di anidride carbonica.
Se l'umanità vuole rimanere all'interno dei limiti naturali ed
evitare il riscaldamento dell'atmosfera terrestre, non può superare
questa quantità bruciando in misura maggiore legno e combustibili
fossili. Se questa quota venisse distribuita in maniera uniforme fra gli
attuali 5,8 miliardi di abitanti del pianeta, ognuno di essi avrebbe diritto
ad emettere annualmente 2,3 tonnellate di anidride carbonica. In realtà
le emissioni di CO2 dovute al consumo di energia nei paesi del Sud sono
notevolmente al di sotto di questa quantità: 0,8 tonnellate in
India, 2 tonnellate in Cina, 1,5 tonnellate in Egitto e Brasile. Al Nord
invece la situazione è del tutto diversa: un cittadino statunitense
emette 20 tonnellate all'anno, quasi 12 un tedesco e 9 un giapponese. |
Dare al progresso una direzione sostenibile è una grande sfida di civiltà e di cultura. Il nostro attuale benessere è ingannevole, in quanto poggia su un consumo di risorse che va a danno della stabilità ecologica, della giustizia mondiale e delle generazioni future. Un orientamento ecologico della politica, al contrario, offrirebbe alla nostra società pluralistica un potenziale di consenso, che andrebbe al di là delle differenze di visione del mondo. |
Bibliografia:
S.G. Il debito del terzo mondo - Eidzioni lavoro
M.B. Per un'economia ecologica - La nuova Italia
W.S Futuro sostenibile - Edizione missionaria italiana